LA TRIPPA |
Cucina Regionale | |
Scritto da Damiano Savin | |
LA TRIPPA Da sempre molto diffusa soprattutto nell’ambiente contadino, in particolare veniva preparata dalle trattorie in occasione delle fiere del bestiame e consumata anche come merenda nelle osterie . La trippa come le frattaglie è stato un piatto adatto a sfamare intere famiglie per tanto tempo in un passato anche recente, veniva distribuita già nel medioevo dai signori, a margine delle loro cene, al popolo. Nel corso dei secoli la trippa si è conquistata un posto nella cucina regionale di tutta Italia. Questo fino al dopo guerra quando con il crescente benessere è stata sostituita sempre più spesso da altri alimenti fino al suo completo abbandono. Il successo era quindi dovuto essenzialmente al suo basso costo, poi ognuno condiva e cucinava a suo piacere, anche secondo le possibilità. In effetti la trippa, compresa nelle cosiddette frattaglie, o quinto quarto alimentare, è una delle parti meno pregiate dei bovini, in quanto si tratta dello stomaco di questi ruminanti, però è uno dei piatti più caratteristici in molte regioni d’Italia. Nel passato meno remoto era difficoltoso reperire la trippa già pulita pronta per essere cucinata, poiché tutto dipendeva dal macellaio o dal trippaio che con maestria provvedevano manualmente alle operazioni di pulizia e sgrassatura.
Cos’è la trippa:La trippa è una frattaglia costituita da diverse parti dello stomaco del bovino. Vi sono infatti 3 principali tipi di trippa: il rumine o croce, che è la trippa comune enorme serbatoio della capacità di 100-150 litri nei bovini adulti, con numerose papille; il reticolo o cuffia o anche nido d’api, che ha un aspetto spugnoso di forma globosa, ha la capacità di 6-7 litri nei grandi ruminanti;
e l’omaso o centopezze o millefoglie o libro, che si presenta con molte pieghe bianche. Vi è poi il lampredotto cioè il quarto stomaco, l’abomaso o caglio dove avviene la vera digestione gastrica. Questo ha la forma di un sacco allungato della capacità di 12-13 litri nei bovini adulti. Il termine “trippa” viene abbinato solo al rumine ed al reticolo. Invece l’omaso è usato soprattutto per la “zuppa di cento pezze”
La lavorazione della trippaDopo l’abbattimento dei bovini, i prestomaci vengono separati dagli altri organi dell’apparato digestivo, svuotai, lavati, separati dalla mucosa, sgrassati, precotti a temperature comprese tra 60 e 80°C, raffreddati , prima in acqua corrente e poi in cella a 0°C. Durante i trattamenti successivi vengono generalmente impiegati coadiuvanti tecnologici, tipo acqua ossigenata, soda, bisolfiti, polifosfati, nitrati e nitriti. L’acqua ossigenata si usa per ottenere un prodotto più bianco (trippa bianca) e non viene impiegata insieme con i nitrati e i nitriti, che danno alla trippa un colore più scuro (trippa naturale). Il fine dell’utilizzo dei polifosfati è quello di intenerire il tessuto, che di solito si presenta piuttosto fibroso. La soda NaoH di potassio è utilizzata per due motivi principali : per rendere le trippe più facili alla pelatura. L’ultima operazione prima del confezionamento è l’eliminazione dei liquidi di governo ed il risciacquo del prodotto con abbondante acqua corrente ed eventualmente trattata con sostanze acidificanti.
CuriositàMolti sono i proverbi in Italia e anche in tutto il mondo sulla trippa, ecco alcuni esempi: LA COSCIENZA È COME LA TRIPPA: LA VIENE DA TUTTE LE PARTI. GIOVEDÌ GNOCCHI, SABATO TRIPPA. Nel dopoguerra le trattorie cominciarono a servire a rotazione settimanale dei piatti tanto semplici quanto tipici: il giovedì gli gnocchi, il venerdì il pesce (in osservanza del precetto cattolico) e di sabato la trippa (manzi e vitelli si macellavano solitamente alla vigilia della domenica), piatto sostanzioso che anticipava la festa del giorno successivo. NON C’E’ TRIPPA PER GATTI!! Frase attribuita al famoso Sindaco Ernesto Nathan (1907), che, alle prese con le ristrettezze finanziarie del Comune di Roma, iniziò una serie di tagli al bilancio, tra cui anche la somma che si stanziava per sfamare i gatti, che - allora come oggi - vivevano tra gli antichi ruderi della capitale. Attualmente assume il significato di “non c’è niente da prendere”. Un aneddoto ormai famoso narra che, al neoeletto Sindaco, venne sottoposto il bilancio del Comune per la firma. Nathan lo esaminò attentamente e, quando lesse la voce "frattaglie per gatti", chiese spiegazioni al funzionario che gli aveva portato il documento. Egli rispose che si trattava di fondi per il mantenimento di una nutrita colonia felina che serviva a difendere dai topi i documenti custoditi negli uffici e negli archivi capitolini. Nathan prese la penna e cancellò la voce dal bilancio, spiegando al suo esterrefatto interlocutore che d'ora in avanti i gatti del Campidoglio avrebbero dovuto sfamarsi con i roditori che avevano lo scopo di catturare e, se nel caso di topi non dovessero averne trovato, sarebbe venuto a cessare anche lo scopo della loro presenza. TRIPE TREVISANE.
|